Conoscenza e creativitá. Dalla parte delle Muse e dell’imprenditoria virtuosa

Scrive bene l’amico Andrea Russo nel suo articolo di qualche tempo fa su queste stesse pagine: “Scienza, informatica, pragmatismo hanno scacciato le Muse; declina ogni forma d’arte, intesa come sentimento lirico espresso in modo compiuto, capace di coinvolgere ed estasiare.
Anche l’ars oratoria è trapassata; le forbite arringhe di Maestri facondi non echeggiano più nelle aule di giustizia”.

La storia non è nuova. In fondo, un simile tradimento fu quello di Wagner nei confronti del dionisiaco spirito che tanto aveva entusiasmato Nietzsche e – fino a poco prima – lo stesso maestro di Bayreuth nella loro scoperta di Schopenhauer. Wagner scelse l’officium, Nietzsche lo Spirito. Quale diversa quiete, quale opposto destino queste antitetiche scelte riservarono ai loro artefici è noto: al primo toccarono le teutoniche maestosità di un teatro concepito per ospitare la musica che doveva unificare il popolo tedesco, al secondo i cieli folgoranti di quella follia che resta negli occhi di chi ha visto ciò che si nasconde nei retroscena dei teatrini quotidiani.

Ma non è il caso di rievocare tali vicende perché, a ben guardare, quelle drammatiche vette del tradimento alle Muse si mossero su gironi ben più alti di ciò che accade da tempo ormai dalle nostre parti. Il nostro Paese annaspa dietro problemi più modesti. Le Muse che si trascurano non sono quelle che raccontarono a Bernini le incantevoli possibilità plastiche della magnifica Dafne o dell’elegante Apollo; né tantomeno furono quelle che in qualche modo avranno pure ispirato il policromo pensiero di Renzo Piano alla volta della Ville Lumiere.

Ci muoviamo più terra terra. Insomma, le Muse dismesse dalle nostre parti dovrebbero iniziare con lezioni di grammatica non di oratoria. Magari potessimo parlare della lira e della danza di Tersicore, del bastone che Melpomene ereditò da Eracle, o dei luccichii che Urania ci svela dicendoci dei sentimenti che mettono in moto le stelle. Potremmo già sentirci più in alto. Tra quelle stelle appunto, tra quei canti, tra quei passi di danza. Più vicini alla memoria di un paese che ha ospitato ingegni e tradizioni eterogenee, che ha ereditato dai greci e dagli arabi (e non solo da loro) saperi e usanze, che ha mostrato al mondo ciò che gran parte del mondo cerca ancora oggi da noi (quasi invano) affollandosi dietro disgraziate file museali e crolli di volte prive di pietas civile e cura amministrativa.

Se questo fosse l’ordine dei problemi potremmo disquisire di quali siano i principi fondanti della nostra società, quali trasgressioni alla Tradizione lo Spirito sia tenuto a compiere, se ci sia una distanza tra la spiritualità assunta come esistenza e la sbrigatività di certe semplificate adesioni ai precetti, cosa sia una famiglia e molto altro ancora. Potremmo condividere il piacere di discutere di questi e altri astri che brillano nel firmamento del pensiero e del sentire poetico. Potremmo altresì parlare dell’ars oratoria, dei giudici colti, delle divagazioni nei campi della cultura, della letteratura, del costume, della storia e del loro fornire chiavi per meglio comprendere le complesse vicende umane. Ma questo amore per la conoscenza, per il dialogo tra scienza e poesia (lo stesso dialogo che permise a Brunelleschi di disegnare quel paradosso architettonico che è la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze o a Michelangelo di scegliere quelle storie, quelle proporzioni e quei pigmenti minerali che colorano ancora oggi le sale del Vaticano), questo amore per il dialogo tra Scientia et Humanitas – dicevo – è lungi dall’essere difeso e incoraggiato dalle nostre parti.

Siamo ben lontani. Da noi gli studenti stentano a scrivere correttamente una mail. E parlo degli studenti universitari. Figuriamoci se possiamo permetterci arringhe e oratorie forensi. I corsi universitari sono ridotti a mero dato numerico (“debiti” e “crediti” formativi). Figuriamoci dunque se possiamo permetterci di parlare di “voluttà del conoscere”, di fiducia in se stessi, del bisogno di dare risposte creative alla ripetitività dei giorni, di capitale umano, del diritto a una qualche seppur circoscritta felicità e così via.
Ma a causare tutto questo non è solo lo scientismo dell’uomo colto dal facile entusiasmo tecnocratico e dimentico del gusto della bellezza e dell’amore per l’arte. La situazione è più grave. Si potrebbe dire perfino strategica. Le grandi holding economiche hanno scoperto che la diversità crea problemi al profitto. La politica ha scoperto che la diversità crea incertezze ai consensi. Da qui il progressivo tentativo di ricondurre a uno schema semplice l’irruente creatività della poesia, della bellezza, dell’arte e del pensiero fantasioso. L’università non deve formare “Persone” (istruite, creative, di Spirito, entusiaste, inventive ecc). Tutt’altro. Deve forgiare dipendenti. Il più possibile attagliati ai profili aziendali. Lo stesso vale per tutte le altre aree dell’intelletto in opera presenti nel Paese. Devono essere sfoltite, semplificate, domate dentro le griglie dei regolamenti, delle tabelle, dei criteri di valutazione. La complessità, la fantasia, la diversità vanno abbattute in ogni luogo.

Mentre nel mondo i governi investono nella cultura e nell’inventiva, da noi si discute sull’opportunità o meno di una paghetta governativa allo studente solerte. Mentre gli altri governi investono fondi per la creazione di teatri, per il sostegno degli artisti, per gli studi sulle criptomonete, sulla blockchain, sulle energie rinnovabili e persino sul Rinascimento italiano, dalle nostre parti si litiga sul nulla.

Speriamo allora in una società civile impegnata, in un dialogo proficuo tra quel po’ di politica sana che è rimasta e quell’imprenditoria illuminata ancora presente. Speriamo che si riesca a ravvivare un vero dialogo tra popoli e civiltà diverse. Speriamo in un impegno forte di una Università che pensi al capitale umano e una Avvocatura attenta alla cultura quale presidio di giustizia e sentire umano. Speriamo che si riesca a dare un colpo di coda. Altrimenti continueremo – ottimisti e condannati – ad aspettare un nuovo Raffaello o un rinato Galileo, senza sapere che il prossimo Raffaello dipingerà palazzi in Arabia Saudita e che il nuovo Galileo nascerà in Cina!

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