L’intento della Riforma del Ministro Bonafede è di valorizzare la negoziazione assistita, abolendo la mediazione per le materie in cui la medesima si è rivelata di scarsa utilità (si pensi che già la procedura de qua è stata soppressa per gli incidenti stradali, con il D.L 69-2013) e conservandola per le tipologie di controversie, in cui la medesima si è rivelata utile, come nell’ipotesi di diritti reali. Si caldeggia nella Riforma una sostituzione del ricorso all’atto di citazione e ci si esprime nel senso dell’introduzione del ruolo dell’avvocato nella Costituzione. Questo è un non–sense, in quanto la costituzionalizzazione del diritto di difesa scolpita nell’art. 24 Cost. e immanente in tutta la Carta costituzionale, ellitticamente attribuisce all’avvocato un ruolo di rango costituzionale, così come un’esegesi adeguata dell’art. 111 Cost. sul “giusto processo” conferma questa conclusione esegetica.
La negoziazione assistita viene estesa, sia pure non con la funzione di condizione di procedibilità, alle cause di lavoro e viene rafforzata riguardo alla rilevanza e al peso dell’attività istruttoria da compiere, con una valorizzazione del ruolo dell’avvocato. L’intento precipuo è di dare a questa ADR una collocazione di maggiore rilievo nel sistema
Si realizza un’intersezione fra ruolo del Giudice, così come fino ad adesso delineato, e ruolo dell’avvocato, con l’attribuzione al medesimo della possibilità di svolgere, nelle procedure di negoziazione assistita, attività istruttoria, fino al punto da poter produrre una confessione scritta stragiudiziale, sollecitando la parte a effettuare dichiarazione di fatti a lei sfavorevoli e sfavorevoli alla controparte. Tali prove saranno utilizzabili in giudizio. Si tratta di un c.d. interrogatorio formale condotto dall’avvocato al di fuori del processo, con la attuazione della fisiologica funzione di questo istituto, vale a dire determinare la confessione (ma v. infra).
L’interrogatorio formale, secondo l’art. 115 c.p.c., ha come presupposto sempre un’iniziativa della parte, non potendo essere disposto d’ufficio dal Giudice. La parte, nel rispetto dei termini indicati per le preclusioni istruttorie, deve chiedere al giudice di poter effettuare un interrogatorio della controparte su fatti sintetizzati e indicati in articoli specifici e separati. Il giudice valuta l’ammissibilità e la rilevanza dell’interrogatorio, tenendo conto anche dell’esigenza di tutelare l’interrogato, per le conseguenze pregiudizievoli che gli potrebbero derivare dalle risposte. L’istituto è il mezzo istruttorio preordinato a provocare la confessione della parte, ossia una dichiarazione della veridicità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte con efficacia di piena prova a danno di colui che l’ha resa (artt. 2730 e 2733, co. 2, c.c.), ove ammetta i fatti dedotti nei capitoli.
Il giudice, previa valutazione di ammissibilità e rilevanza, dispone l’interrogatorio. La confessione, che eventualmente ne derivi, è prova legale, non liberamente valutabile dal Giudice, ma vincolante.
La parte deve rispondere personalmente (non potendo avvalersi di un rappresentante ad hoc, come nell’interrogatorio libero) e non può servirsi di scritti preparati se non in ipotesi particolari e previa autorizzazione del giudice (art. 231 c.p.c.). La conoscenza anticipata delle domande implica che la parte giunga dinanzi al giudice in sede di interrogatorio solitamente ben preparata sulle risposte da dare, con la conseguenza che, non essendo tenuta a un obbligo di verità e stante il principio nemo tenetur se detegere, accade assai di rado che ella confessi.
Questo accadrà, è prevedibile, a maggior ragione, in relazione all’attività istruttoria compiuta dall’avvocato in sede di negoziazione assistita. Sembra vada applicata la disciplina, secondo cui l’avvocato non possa di per sé sollecitare la parte a rispondere, ma occorra una richiesta di parte, per evitare un’asimmetria con la disciplina codicistica di dubbia costituzionalità.
Spesso il risultato finale dell’interrogatorio porta alla negazione della verità dei fatti dedotti dall’istante (anche se ciò fosse falso). In questo caso, la dichiarazione è priva di qualsiasi rilevanza probatoria. Può accadere che la parte, senza giustificato motivo, non compaia o non risponda alle domande del giudice. L’assenza ingiustificata o la mancata risposta ( ficta confessio), è regolata dall’art. 232, co. 1, c.p.c., secondo cui, in tal caso, il Giudice della decisione, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. L’interpretazione di tale disposizione è piuttosto ambigua.
Ci sono varie tesi sull’esegesi da dare: la mancata comparizione o la mancata risposta, se non supportata da altri elementi di prova, ha un valore meramente indiziario o di semplice argomento di prova ((Cass., 6.8.2014, n. 17719; Cass., 26.4.2013, n. 10099; Cass., 10.3.2006, n. 5240; Cass., 22.7.2005, n. 15389 e cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/interrogatorio-dir-proc-civ_%28Diritto-on-line%29/). Secondo altra opinione, il comportamento della parte va inquadrato fra quelli liberamente valutabili dal Giudice, in quanto contegno regolato da una norma apposita.
Le prove raccolte attraverso questo sistema potranno essere utilizzate in sede processuale, con la contestuale possibilità attribuita all’avvocato di chiedere a soggetti coinvolti nella vicenda stragiudiziale di rilasciare dichiarazioni. Peraltro, si coglie una discrasia: in questo progetto di confessione stragiudiziale scritta, esito di una sorta di interrogatorio formale, sono previste sanzioni penali per chi dichiara il falso, ma è un principio cardine della procedura civile che il soggetto sottoposto a interrogatorio formale non ha l’obbligo di dire la verità, come l’indagato-imputato nel processo penale (nemo tenetur se detegere). Pertanto, diventa opinabile, a proposito di questa attività istruttoria attribuita all’avvocato in sede di negoziazione assistita, adoperare la terminologia di interrogatorio formale o di confessione stragiudiziale.